Alberto Corrente vince per la quarta volta contro Agenzia delle Entrate sul tema del raddoppio dei termini in presenza di una denuncia penale presentata, ma priva di presupposti.
Prima della riforma del 2015 in caso di contestazioni aventi rilevanza penale, i termini per l’accertamento tributario subivano un raddoppio, consentendo all’Ufficio di accedere “ai tempi supplementari” con la possibilità di emettere l’avviso di accertamento in un tempo considerevolmente più lungo.
La giurisprudenza di Cassazione aveva peraltro precisato – e non certo pro contribuente – che non era necessario che fosse stata effettivamente presentata la denuncia, ma era sufficiente che fosse accertato il presupposto del reato (ad es. il superamento delle soglie) per consentire di ritenerla “dovuta” ed ampliare i termini di accertamento.
Ma cosa accade se la denuncia viene presentata e il reato poi non sussiste?
Anche su tale punto la giurisprudenza è sempre stata parca di soddisfazioni per il contribuente: se, nel corso dell’accertamento, si verifica che vi è il superamento delle soglie reddituali che fanno scattare la punibilità penale e poi, all’esito del dibattimento, emerge che, in realtà, tale somma non era superata, il raddoppio è comunque salvo.
Anche tale punto appare sufficientemente acclarato dalla giurisprudenza.
Ma cosa accade se la denuncia penale viene presentata senza che vi fossero ab origine i presupposti e, in particolare, senza che – sempre ab origine – il pubblico ufficiale che presenta la denuncia abbia correttamente verificato il superamento delle soglie?
E questo il tema che ha affrontato la Corte di Giustizia Tributaria di Imperia nella sentenza 115/2023 ed al quale ha dato una soluzione favorevole per il contribuente
La vicenda trattata deriva da una verifica fiscale compiuta dalla GdF anche con l’ausilio delle Indagini Finanziarie su di un contribuente, nei confronti del quale in limine di scadenza dei termini, viene presentata una denuncia penale per infedele dichiarazione, ritenendo superata la soglia di rilevanza penale.
Il punto è come era stata superata la soglia.
I verificatori infatti avevano preso i risultati delle indagini finanziarie condotte nei confronti del ricorrente e dei genitori (uno dei quali peraltro, titolare di altra impresa individuale, non soggetta a verifica) e, non avendo questi ultimi fornito giustificazioni ai versamenti e prelevamenti sui loro conti personali, avevano “sommato” tali movimenti ai ricavi dichiarati dal figlio, contestandoli come “maggior reddito” senza riconoscere alcun costo.
Tale operazione era avvenuta peraltro senza che al ricorrente fossero mai stati notificate le richieste di giustificazione dei conti dei genitori.
In tale situazione la difesa, contestava:
- l’ammissibilità delle indagini finanziarie su terzi estranei alla gestione aziendale in difetto di qualsiasi elemento che potesse far emergere l’utilizzo dei loro conti per operazioni riferibili all’azienda;
- La mancata notifica della richiesta di giustificazione dei conti dei terzi al ricorrente (salvo poi imputargli l’esito della mancata giustificazione…)
- La mancata espunzione dalle risultanze delle indagini finanziarie dei movimenti tracciati e già contabilizzati
- il fatto che – in concreto – oggetto della denuncia era stato non un maggior reddito, ma unicamente un maggior ricavo senza riconoscimento di costi che portava a ritenere scorretta la stessa metodologia di calcolo impiegata
Tali argomentazioni vanivano accolte dalla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Imperia, che, sulla scorta di due analoghe sentenze e di una terza in termini confermata dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado di Genova, annullava l’accertamento ritenendo inammissibile l’applicazione del raddoppio dei termini.
Nella motivazione si legge che
“In materia di “raddoppio dei termini”, la giurisprudenza ha elaborato i seguenti principi:
- I’obbligo di denunzia sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con certezza gli elementi del reato da denunciare, non essendo sufficiente il generico sospetto di una attività illecita (Corte Cost. sent. n. 247 deI 25.7.11);
- per il raddoppio dei termini non sono sufficienti elementi presuntivi semplici, ma occorrono indizi gravi, precisi e concordanti che facciano insorgere I’obbligo di presentazione della denuncia penale.”
Alla luce di tali principi, ha ritenuto la Corte che “l’Ufficio, per poter giustificare il raddoppio dei termini, abbia applicato una serie di presunzioni prive dei caratteri della gravità, precisione e concordanza..”