Con la riforma del processo tributario approvata con legge 130/2020 cade il divieto di prova testimoniale: cosa cambia con il nuovo strumento? come impatta sulle strategie processuali?
…once upon a time… un po’ di storia del divieto di prova testimoniale
Il divieto di prova testimoniale, caratteristico del sistema processuale tributario italiano, non è un retaggio storico, ma un carattere relativamente “recente”.
Nella versione originaria del DPR 636/72 “Revisione della disciplina del contenzioso tributario” in assenza di divieto la prova testimoniale era ritenuta ammissibile anche se con minor peso rispetto al processo civile e con un impiego molto cauto per evitare deposizioni di comodo
L’introduzione del divieto interviene solo con il DPR 3 novembre 1981 n. 739 che modifica l’art. 35 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 e poi viene confermato nell’impianto del D. Lgs. 546/92 con l’art. 7 “poteri delle commissioni tributarie”
Molto si è scritto sulla compatibilità della limitazione probatoria con l’effettività del contraddittorio e con il “giusto processo” sancito dagli artt. 111 Cost. e dall’art. 6 C.E.D.U.: questione più che legittima nella misura in cui, come si può verificare nella pratica, nel corso della fase di verifica ad AdE e GdF è ammesso acquisire dichiarazioni di terzi o addirittura sommarie informazioni testimoniali, il cui contenuto poi finisce direttamente nell’accertamento.
eludere (legalmente) il divieto per salvare la tenuta costituzionale
La tenuta del sistema sino ad oggi è stata assicurata da un sottile ragionamento propugnato dalla Corte Costituzionale con la Sentenza 18/2000 che nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale relative al divieto dell’art. 7 comma 4 D. Lgs 546/92 ne ha di fatto ristretto la portata.
La Consulta infatti, ha ritenuto la compatibilità costituzionale del divieto ritenendo ammissibile la possibilità di utilizzare nell’ambito del processo tributario la dichiarazione scritta del terzo (con connotazione testimoniale), con un valore probatorio “indiziario”, utile, ove corroborato da altri elementi, alla formazione del convincimento del giudice.
Si è trattato, in sostanza, di un avvallo di quella prassi molto controversa di depositare dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà per sopperire alla necessità di dare la prova di un fatto storico.
Il segnale della Corte Costituzionale non è rimasto inascoltato.
Con la sentenza, n. 24538 del 04/11/2020 la Cassazione ha infatti affermato “(Omissis) nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992 art. 7 si riferisce alla prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice
Tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni.
In questo ambito, al fine di evitare che l’ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell’Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni Tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni.
Tali dichiarazioni possono essere introdotte nel giudizio tributario avendo le stesse valenza indiziaria in proprio favore, in conformità ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU (vedi da ultimo Cass., Sez. 6-5, n. 6616/2018; Cass. Sez.6- 5, n. 21153/2015)”.
prove tecniche di riforma: verso l’abolizione del divieto
In sede di riforma del processo tributario la Commissione “Della Cananea” aveva previsto un’introduzione temperata della possibilità di prova per testi: si leggeva infatti nella bozza che “su istanza del ricorrente il giudice può autorizzare la prova testimoniale scritta raccolta ai sensi del codice di procedura civile su circostanze oggetto di dichiarazioni di terzi contenute in atti istruttori”.
Tale proposta prevedeva, sostanzialmente, non una “prova diretta”, ma una sorta di “controprova” su circostanze già oggetto di dichiarazioni di terzi dedotte in istruttoria, da assumersi nelle forme della testimonianza scritta già esistente nel codice di procedura civile
Si configurava, in definitiva, come una forma di “razionalizzazione” dell’assunzione delle dichiarazioni di terzo e di “rafforzamento probatorio” del loro contenuto, ma nulla di più.
la caduta del divieto
Tale impianto tuttavia viene modificato ed ampliato nella versione “finale” dell’art. 7 comma 4 approvata dal Parlamento con la Legge 130/2022 dove si legge “Non e’ ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova e’ ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.”
Il richiamo all’art. 257 bis c.p.c. (anzi, alle forme dell’art. 257 bis c.p.c.) è, all’evidenza un richiamo incompleto: la prova testimoniale tributaria, infatti, non prevede l’accordo delle parti e verosimilmente non potrà comportare l’applicazione di sanzioni in capo al teste renitente, né la convocazione del teste davanti alla Corte.
Peraltro, la scomparsa dell’inciso “su istanza del ricorrente” (presente nella versione Della Cananea) porta a ritenere che la prova testimoniale possa essere richiesta indifferentemente sia dal contribuente-ricorrente che dall’amministrazione-resistente e addirittura disposta dalla corte di giustizia tributaria ex officio! (Non a caso, l’ammissibilità dello strumento è inserita nell’articolo che disciplina in poteri delle CGT)
un diritto, molto condizionato
Non vi è un diritto assoluto alla prova per testi (la prova non “è ammessa”, ma “può essere ammessa”) e comunque la stessa sopporta due “limiti”, uno di natura processuale e uno di natura sostanziale.
- Limite sostanziale: se la pretesa è fondata su verbali o altri atti fidefacenti sino a querela di falso, la prova è ammessa solo su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal Pubblico Ufficiale
- Limite processuale: l’ammissione dello strumento è legata alla “necessità” ai fini della decisione
Sotto il profilo sostanziale l’inammissibilità sostanziale l’affermazione merita un approfondimento: la Cassazione ha infatti individuato tre tipologie di “contenuto” dei verbali e degli atti fidefacenti con una diversa valenza, in termini di “prova” legale.
Si distingue infatti tra:
- fatti attestati dal P.U. come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, e provenienza del documento dallo stesso P.U. ed alle dichiarazioni a lui rese = piena prova fino a querela di falso (2700 c.c.)
- fatti appresi dal P.U. mediante dichiarazioni di un terzo identificato: fanno fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni;
- Infatti appresi, dal P.U. ma senza indicazione specifica dei soggetti da cui vengono appresi = elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, (ferma la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore)
La stessa “tripartizione” dovrebbe valere anche in relazione alla prova testimoniale, “vietata” nel primo caso, ma ammissibile negli altri due.
Si tratta in ogni caso di un “limite” sempre superabile con la querela di falso, che, in sede civile consente ovviamente di provare con tutti gli strumenti consentiti dalla procedura civile.
Sotto il profilo processuale invece, la testimonianza è disposta dalla Corte se e solo se necessaria ai fini della decisione.
Si tratta evidentemente di una valutazione della Corte, apparentemente sottratta anche alla disponibilità delle parti: non richiede un’istanza di parte e potrebbe essere disposta anche d’ufficio.
un limite certo: nessun soccorso istruttorio
Tuttavia l’intervento della Corte (su impulso o ex officio) non può però essere intesa come “soccorso istruttorio”, stante il principio fissato dal comma 5 bis dell’art. 7 “Il giudice … annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”.
La necessità potrebbe allora sussistere laddove si sia in presenza di:
- fatti rilevanti e determinanti ai fini della ricostruzione della fattispecie impositiva;
- già dedotti e/o contestati dalle parti (nell’atto impositivo o negli atti processuali): ai sensi dell’art. 7 comma 1 la CGT esercitano i loro poteri istruttori “nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”
- sorretti da elementi indiziari (ma non pienamente provati)
un futuro ancora imperscrutabile
L’applicazione pratica della nuova disposizione ci darà la misura della sua portata e della sua incidenza nell’ambito processuale: il consiglio prudenziale è quello di non abbandonare strumenti già sdoganati come le dichiarazioni sostitutive nella speranza di ottenere una prova testimoniale la cui ammissibilità presenta notevoli profili di incertezza.
Avv. Alberto Michelis